Il malfattore nella "stessa pena"


Il prof Anchieri mi scrive :


Vangelo di Luca [23,39-41] : “Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!. Ma l'altro lo rimproverava: Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena? Noi giustamente, perche riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male.”


“Non temi Dio e sei dannato alla stessa pena?” in greco: “Οὐδὲ φοβῇ σὺ τὸν θεόν, ὅτι ἐν τῷ αὐτῷ κρίματι εἶ;” (leggi: udé nfobé su ton theòn, oti en to autò crìmati ei). In italiano il termine “stesso” ha due significati; uno rafforzativo (per es. l’espressione “il presidente stesso si è recato sul luogo” significa “anche, persino il presidente si è recato sul luogo”); l’altro significa uguaglianza (per es. l’espressione “usiamo tutti e due la stessa macchina”).

Anche il greco usa per i due significati lo stesso termine: “autòs”; ma cambia la posizione dell’articolo. Eccoti un esempio in cui l’articolo è “ὁ” e la sua diversa posizione fa cambiare il significato alla parola: “autòs o basiléus” = il re stesso, persino il re (in grammatica si dice posizione predicativa e in italiano ha significato rafforzativo); “o autòs basiléus” = il medesimo re (in grammatica si dice posizione attributiva e in italiano ha significato di uguaglianza, come nel seguente esempio: i due popoli avevano il medesimo re). Sono nozioni che qualunque studente di greco conosce.


Nella frase del Vangelo l’articolo τῷ precede l’aggettivo “autò”: dunque i ladroni che condividono la pena di Gesù Cristo, sono nella medesima pena di Dio.


L’edizione critica del testo riporta come unica variante del versetto “esmen” anziché “ei” ; in questo caso la traduzione sarebbe “siamo nella stessa pena”, anziché “sei nella stessa pena”.

La trattazione completa la puoi vedere all’allegato “Articolo in greco.pdf” a pag. 181


Risposta


Ho sempre inteso Luca 23:40 in questo senso :


“Visto che anche tu come noi sei stato condannato a morte , sei nella stessa pena , nella stessa condanna, perché parli contro il figlio di Dio e non manifesti quella fede nei suoi confronti che ti potrebbe salvare ? Perché non mostri fede e timore di Dio almeno in quest’ultima opportunità ?. Io credo che quest’uomo è il re dei giudei e che dopo la sua morte porterà il suo Regno. Non hai motivo per parlare contro di lui come stanno facendo i governanti e i soldati .Tu sei nello stesso giudizio , nella medesima condanna a morte che i romani hanno inflitto a me e a lui . Perché nemmeno in questo frangente in cui sei alla nostra pari , nella stessa situazione , con la stessa prospettiva della morte imminente, come lo siamo io e lui ,riesci a mostrare timore di Dio e pentirti e rispettare il suo Cristo”


Il rimprovero che il malfattore pentito fece all’altro malfattore era dettato dalla fede che manifestò in punto di morte e si aspettava che il suo compagno di condanna manifestasse la stessa fede visto che era nella sua stessa sventurata situazione e condizione ma con il Cristo lì vicino , condannato come loro a morte ( ma secondo le scritture e ingiustamente).


Non discuto il fatto che grammaticalmente l’espressione “la stessa pena” o “lo stesso giudizio” riportata in Luca 23:40 non è un rafforzativo e denoti uguaglianza ma considero che il versetto esprima semplicemente l’uguaglianza della situazione , della pena in cui si trovava il malfattore non pentito rispetto a quella del malfattore pentito e rispetto a quella di Gesù , uguaglianza di situazione e condizione che avrebbe dovuto o potuto indurlo al pentimento.


La CEI riporta le parole di Luca in questo modo : 


“Neanche tu hai timore di Dio benchè condannato alla stessa pena?”


Cosa c’era dietro quelle parole 


Il contesto indica che Gesù era oggetto di critiche taglienti e sberleffi da parte sia dei capi che dei soldati.


In sostanza quindi il senso di ciò che il malfattore pentito stava dicendo all’altro malfattore era : 


‘Tutti quelli che ci stanno davanti , dal popolo ai soldati e ai governanti non temono Dio perché si prendono gioco di suo Figlio e lo insultano. Non c’è nessuno che rispetti il figlio di Dio , il re dei giudei. Nemmeno te , che addirittura sei condannato a morte come lui e come me , sei indotto a mostrare questo timore e te ne prendi gioco in modo sarcastico e tagliente?’


E’ chiaro che il timore di Dio avrebbe fatto la differenza tra il pentirsi e riconoscere in quell’uomo condannato ingiustamente il Cristo di Dio , il suo unto.


'Non hai timore di Dio?'


Le scritture mettono in stretta relazione questa qualità , il timore di Dio , con la capacità di riconoscere e rispettare i suoi rappresentanti , figuriamoci suo figlio.


Ad esempio in Numeri 12:1 si legge che 


“Miriam e Aaronne parlavano contro Mosè a motivo della moglie cusita che egli aveva preso, perché aveva preso una moglie cusita.”


Quando Dio chiese loro conto di questa mancanza di rispetto pose di fronte a loro la questione del timore nei suoi confronti e in Numeri 12:8 chiese loro : 


"…Perché, dunque, non avete temuto di parlare contro il mio servitore, contro Mosè?”


Parlare contro un rappresentante di Dio equivale a parlare contro Dio stesso .


Quando gli Israeliti presi dal malcontento ingigantirono le loro difficoltà e cominciarono a mormorare contro Mosè e Aaronne, Geova le considerò come rivolte a Lui stesso . Infatti Mosè disse agli israeliti: 


"Geova ha udito i vostri mormorii che mormorate contro di lui. E che cosa siamo noi? I vostri mormorii non sono contro di noi, ma contro Geova”. — Esodo 16:4-8.


Anche Lev. 19:32 mette in stretta relazione il timore di Dio con il mostrare considerazione e rispetto :


“Ti dovresti levare davanti ai capelli grigi, e devi mostrare considerazione per la persona del vecchio, e devi aver timore del tuo Dio”.


Uguaglianza di pena , non di persona


Non riesco proprio a vedere nelle parole di quell’uomo “Neanche tu hai timore di Dio benchè condannato alla stessa pena?” un identificazione di Cristo in Dio : ‘sei dannato alla stessa pena di Dio’


Se proprio si vuole leggere luca 23:40 : “nella medesima pena di Dio” , (anche se la considero una lettura non corretta ) , nemmeno in questo caso mi apparirebbe come una prova della trinità .In che senso ?


Le sofferenze che Cristo subì era come se le subisse suo Padre in persona , come se fosse lui nella sua stessa pena , come qualunque padre soffrirebbe atrocemente se dovesse assistere impotente alla morte del proprio figlio , ma rimarrebbe il fatto che il padre è il padre e il figlio è il figlio. Che Dio si immedesimi nelle sofferenze come se a subirle fosse lui stesso e una realtà che traspare da scritture come queste :


“Durante tutta la loro angustia fu angustioso per lui. E il suo proprio messaggero personale li salvò. Nel suo amore e nella sua compassione egli stesso li ricomprò, e li sollevava e li portava tutti i giorni di molto tempo fa”. (Isaia 63:9)”


“E Geova aggiunse: “Incontestabilmente ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto, e ho udito il grido a causa di quelli che lo costringono al lavoro; perché conosco bene le pene che soffre.” (Esodo 3:7)